Solo rimasi col vizio
mentre diabolico
ingollava sopite virtù.
Empio del debole animo,
di cui avido divorava brandelli,
ghignante pasteggiava
volto alla pallida luna.
Ed ella stupita di cotanta ingordigia
piangeva stelle che
si spegnevan sul nascere.
Volentieri barattai
nella notti seco passate
il silenzio assordante delle labbra
col rilassante frastuono
del frullar dè pensieri
non mai più profondo di
uno strato di pelle,
né mai superficiale come
la sana, vostra, ostentata lucidità.
Io vivo di ciò che buttate,
son spazzino dei momenti vostri,
accartocciati come foglietti
e gettati sul selciato sterile
dell’autocommiserazione.
Mai fummo cosi tanto soli
come da quando
dimenticammo noi stessi.
Nella penombra di quel sano inebriarsi,
quando il mondo sotto i lampioni
mendica attenzione,
quando mentre dormite il vostro
cervello finalmente liberato
dalle palpebre chiuse
esplode in frammenti di genio
che chiamiamo sogni…
Ebbene lo ammetto,
io ho il vizio di guardarvi,
ad uno ad uno,
fino a quando dal mio balcone,
sospeso nella più irreale
delle notti,
maledico le prime luci
dell’alba.