In questo mio vagare tra il tramonto e l’alba ebbi la fortuna, non posso negarlo, di sciogliere i miei sensi in una danza sfrenata con la felicità, salvo poi doverli richiamare all’ordine mentre con la tristezza facevo l’amore su un letto di rovi.
Così sospesi lo spirito in un limbo che a quanto ho capito chiamate Vita.
Strano termine Vita.
Breve, conciso, effimero, fugace.
Solitamente pronunciato di fretta e talvolta, se ho ben compreso cosa concerne riconoscendole il giusto valore.
Mi sembrò strano pensare che in fondo si trattava solo di due vocali e due consonanti, per giunta alternate,
due sillabe strette in un inesauribile abbraccio, come se in un codice di quattro lettere avesse potuto trovar dimora indisturbato,imperturbabile e ridotto ai minimi termini,
il coacervo di salite e discese emotive che questa fase della vostra esistenza vi porgeva con distacco e disinvoltura.
Cosi, seduto sui marmorei gradini della coscienza sedata, percepivo il vostro affanno mentre, come calce viva, si posava sul mantello dei miei liberi pensieri.
Riposavo sul fiato corto che vi accompagnava dopo la frenetica corsa all’oro per il quale vi programmarono.
Rabbrividivo, investito dall’algido alito di autocommiserazione che espiravate.
Ma confusamente certo dell’errore perpetrato, giuravo a me stesso che mai e poi mai, avrei provato a prendere in mano la Vita,sicuro com’ero di poterle porgere la mia di mano, per farmi accompagnare a spasso sul mondo per il breve tempo concessomi.
Fino a quando nacqui un giorno,
anch’io come voi.
E dovetti affannarmi, correre, autocommiserarmi,ridere,
piangere e tacere gridando.
Ma io vi giuro, sulla maschera che indosso,che il marmoreo gradino sul quale siedo, mentre coi fili del giorno tessete la notte,
è lo stesso sul quale sedevo prima di esistere.
Ed è lo stesso sul quale siederò una volta conclusa questa parentesi, che mi avete spiegato chiamarsi Vita.