Se mi cercherai, potrai trovarmi seduto con una candela accesa e le dita sporche di cera viola, sul legno di un gradino coperto di moquette, in quell’ unico punto dove non arriva l’occhio di bue.
Nell’angolo in cui il vuoto guadagna un palco sul quale lo sguardo poggia senza fatica alcuna, lasciando lavorare la mente dei curiosi.
L’essenza priva di cornici.
L’assenza che grida la sua forma con tutta l’ eloquente complessità di cui è capace. Quella fiamma sottile ma inestinguibile, danza sul mio respiro ansante, donando luce a particolari momenti d’ombra che spargono lettere e germogli su fogli cullati dai giorni del maggese.
E mentre il pubblico delirante pensa alla recensione o al prezzo del biglietto, starò studiando i loro visi mascherati d’incompletezza, nei quali tratti senza difficoltà posso legger le mancanze dell’ animo ferito e disilluso che coprono miseramente.
Perché siamo a teatro se non lo sapete.
Con l’onere e l’onore di ricoprire entrambi i ruoli, in un sabba argentato dagli spicchi della luna, unica fonte di luce riesce a rapire il mio volto inespressivo.
Io se volete vi aspetto.
Son li su quel gradino, con la candela, la maschera e questo sipario nero che mi copre le spalle e l’età.
E se volete, io so di potervi prestare la mia maschera come so di poter indossare la vostra, sicuro del fatto che in questo teatro, scambiandoci i ruoli, troveremo ogni giorno un pezzetto di ciò che poi siamo.
Spettatori di una rappresentazione che vive dei nostri silenzi, e che troppe volte uccidiamo con le parole.