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di Frasi, Aforismi & Citazioni

giovedì, Gennaio 16, 2025
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Sotto di noi

Cerca sotto la rabbia,
sotto la malinconia,
sotto le frasi abbaiate
o sotto la gabbia di costole
che imprigiona il cuore.
O magari sotto i muri in pietra viva,
sui quali poggiano le algide labbra
delle notti d’inverno
con sole due stelle
che ballan sul velluto nero.
Tu cerca tra le foglie passite
che stanche riposano su petali d’innocenza ancor freschi,
son profumi per nari distratte
da mille e più indugi,
son terra, son muschio,
son gusci di lumaca e castagne,
son frammenti che rendono
unico l’insieme.

Li sotto,
io so che lo sai
ci siamo ancora noi,
opachi e raggrinziti come i sogni
che scordammo di nutrire.

Eterni prigionieri.
Amanti come mai.
Abbracciati nell’attesa che un sole venga per baciarci,
violando le nostre corazze.

(Sonnessa Gianluca)

Lo strato sottile

Siamo spiriti colorati d’ istinto, capaci di proiettare la malinconia fuori da una pelle trasparente e delicata come vetro.
Dimentichi di un vocabolario, sopito sotto strati di polvere, un giorno chiamò emozioni.
Colori dentro, grigiore fuori,
grigiore dentro, colori fuori.
Avere il tutto in mezzo al nulla mentre si è smesso di cercare, memori di un tempo in cui puliti d’ogni pregiudizio potemmo fissare occhi sconosciuti e goderne la profondità.
Guardami se puoi , cosi come guardasti il tuo primo cielo stellato, e io, di te costellato, sprigionerò colori che ancora non conosci.
Ho le nuvole in petto e il sangue burrascoso,
ma ho gettato la mia ancora fra le tue braccia, e chiuso le vele per non farmi spostare.
Grigiore dentro.
Colori fuori.
E noi inconsapevoli pittori che con pennelli di parole dipingiamo le tempeste dentro il
quale ci perderemo, non possiamo non squarciare un silenzio che, se taciuto, squarcerebbe noi.

(Sonnessa Gianluca)

 

In pasto alla notte

In pasto alle notte

Assaporai gli spicchi di un giorno maturo,
tenendo tra queste dita incredule quel piccolo miracolo di tempo.
Lo feci restando seduto in disparte,
mentre labbra rabbiose ed urlanti
vomitavano miscugli di lettere.
Lo feci mentre le giugulari si gonfiavano
pompando un odio incendiario e novello.
Lo feci mentre tutto crollava, mentre i soffitti si sgretolavano come nel più abbandonato degli ospedali, nel momento stesso in cui come un pezzo d’intonaco,
il cuore sbriciolato sdraiava i pezzi sul pavimento.
Quella notte lo feci restando.
Godendo il silenzio di una notte di veglia.
Cullato dalla gentilezza dell’ unico albero che da dietro quel vetro, non smise mai di oscillare.
Neppure per un attimo.
Fino al mattino.
Successe.
Mentre intorno calcinacci di quelle che furono emozioni piombavamo, con inaspettata crudeltà su ignari crani,8
dalle quali crepe sgorgava una lava rovente di un incomprensione celata, magmatica, intestina e sotterranea.
Successe mentre lapilli di rabbia disegnavano parabole cascanti d’inaspettata inimicizia.
Cosi successe.
E quello fu l’istante in cui iniziai a costruire noi stessi.
Quello fu il Momento.
Quando quei calcinacci sbriciolati,
confusi nella penombra della stanza,
si fecero la mia corazza.
Fu l’Attimo in cui, per quanto in alto riuscissero ad arrivare quei lapilli finivano per spegnersi in un sottile sbuffo di fumo.
E con lui tutto il resto dei mali.

E so che un foglietto a quadretti è rimasto per mesi in pineta, fra gli aghi caduti e i nuovi germogli, coperto da una pietra grigia striata di bianco.
E forse la pioggia l’ha sciolto, o forse è stata la terra ad assorbirlo per sempre.
Ma non c’è più.
Non è più al suo posto.
C’era scritto:

“Se oggi voi non sentite più il mio battito,
non vomitate ancor ‘altre parole,
ma fate il favore,
poggiate la mano sul vostro di petto
e dite,
che suono sentite?
Un suono metallico,
o il suono di un cuore?”

(Sonnessa Gianluca)

Momento d’ocra

Momento d' ocra gianluca sonnessa
Momento d' ocra gianluca sonnessa

Momento d’ocra

Vidi quell’ albero spoglio
abbracciato com’ero alla nebbia.
l’ocra di un cielo di foglie
tingeva la terra e le pietre.

Segnai con le dita il contorno,
del cuore spezzato a metà
la gabbia, lo sterno, e il futuro,
lontano, nelle altre città.

Un guscio ormai nero e coriaceo
e non c’erano perle o monili
ma battiti sempre più stanchi,
con foto e sorrisi sbiaditi.

Poggiando i pensieri sui rami
credevo di farli asciugare,
ma loro leggeri, nel vento
restavano muti a osservare.

E tutto era chiaro,
lontano da tutto,
che se c’ero dentro sembrava più brutto,
ma il soffio gentile dell’ aria del mondo,
baciava i miei gesti e dolciva il mio gusto.

E io li vi rimasi, con l’ animo in festa,
poggiato al mattino e all’odore di legna,
fino a quel Momento, fino a giù all’essenza,
in cui ad occhi chiusi fui come la nebbia.

Nell’ ocra del cielo di foglie per terra.

(Sonnessa Gianluca)

Petalo

Sei il fiore che ho timor di toccare
per paura di rovinarne il velluto,
con le dita mie indurite e malmostose.
Ti osservo di nascosto,
fulgida cornice,
innamorato di ciò che procuri
al sesto mio senso
mosso a donare quel tempo
per scriver di te.
Ho inciso sul porfido
speranze che in te riposi,
ripongo e che domani riporrò.
Fai perdere ancora i miei minuti
nel rosso delle labbra affannate,
come quando beffammo
il sole baciandoci le anime
strette sulla panchina.
Amami come mai,
perché mai amai tanto
da sperar che il mio petto
divenisse cuscino per
altrui desideri.
Brama di me ti cinga la notte,
quando il nostro respiro,
senza volerlo s’innalzerà in
un coro di vita sopita.
Vesti il mattino col tuo sguardo.

Perchè questo mio giorno
ha bisogno di te.

(Sonnessa Gianluca)

 

Spettattori

spettatori gianluca sonnessa
spettatori gianluca sonnessa

Se mi cercherai, potrai trovarmi seduto con una candela accesa e le dita sporche di cera viola, sul legno di un gradino coperto di moquette, in quell’ unico punto dove non arriva l’occhio di bue.
Nell’angolo in cui il vuoto guadagna un palco sul quale lo sguardo poggia senza fatica alcuna, lasciando lavorare la mente dei curiosi.
L’essenza priva di cornici.
L’assenza che grida la sua forma con tutta l’ eloquente complessità di cui è capace. Quella fiamma sottile ma inestinguibile, danza sul mio respiro ansante, donando luce a particolari momenti d’ombra che spargono lettere e germogli su fogli cullati dai giorni del maggese.
E mentre il pubblico delirante pensa alla recensione o al prezzo del biglietto, starò studiando i loro visi mascherati d’incompletezza, nei quali tratti senza difficoltà posso legger le mancanze dell’ animo ferito e disilluso che coprono miseramente.
Perché siamo a teatro se non lo sapete.
Con l’onere e l’onore di ricoprire entrambi i ruoli, in un sabba argentato dagli spicchi della luna, unica fonte di luce riesce a rapire il mio volto inespressivo.
Io se volete vi aspetto.
Son li su quel gradino, con la candela, la maschera e questo sipario nero che mi copre le spalle e l’età.
E se volete, io so di potervi prestare la mia maschera come so di poter indossare la vostra, sicuro del fatto che in questo teatro, scambiandoci i ruoli, troveremo ogni giorno un pezzetto di ciò che poi siamo.
Spettatori di una rappresentazione che vive dei nostri silenzi, e che troppe volte uccidiamo con le parole.

(Sonnessa Gianluca)

False partenze

Se un giorno partirò per il non luogo a cui tutti in fondo siamo destinati,
lo farò senza portare alcuna valigia.
Non porterò indumenti di ricambio, cartine, cellulari o gps, perché le coordinate di sé non sono memorizzate dai satelliti.
Se un giorno farò quel viaggio, imparerò a sentirmi piccolo guardando le formiche perché avrò compreso quanto i loro intenti siano perseguiti con una costanza che non appartiene all’uomo.
Quel giorno non mi servirà ricordare a memoria i nomi dati ai fiori, perché potrò riconoscerli sentendone il profumo, il profumo sarà un emozione, e all’emozione le parole si sa, non servono, abita comodamente il silenzio.
Non mi interesserà conoscere il nome di quel pugnetto di piume che saltella su di una pietra in mezzo al fiume,
mi basterà aver avuto il tempo di apprezzarne l’atterraggio.
Non parlerò del libeccio, del maestrale o del vento di ponente,al contrario confesserò di non averla una parola capace di descrivere la sensazione del vento sulla pelle quando chiudi gli occhi.

Se un giorno avrai il coraggio di partire per quel non luogo a cui, come tutti in fondo sei destinata, ti chiedo di farlo senza portare il mio corpo con te, senza le mie lettere o la maglia, senza l’anello, senza la foto, senza la voce, senza l’accusa, senza il perdono.
Ti chiedo di sdraiarti sul mio ricordo, quando con il cammino avrai stancato le gambe e riempito di passi le scarpe.
Ed anche di ripartire poco dopo, affamata di quegli stessi passi, come un giorno lo fosti della vita.
Ti chiedo di tacere, fissando i tratti del tuo viso mentre danzan con le onde di un fiume che fugge il passato, e di mettere a terra la fronte, poggiarla sul muschio umido per poi sussurrare il tuo nome, ascoltandone rapita il suono che si mischia col mondo.
Indossa gli stracci con orgoglio, perché diverrà tanto elegante il tuo pensiero, da saperti vestire con quelle sete preziose che nascondi nelle tasche chiuse dell’adolescenza, laddove hai piegato e conservato la spontaneità.
Ti chiedo di non coprirti dalla pioggia.
Di non cercare l’ombra quando a mezzogiorno il sole seccherà l’argilla delle rive, di resistere alla tentazione e non fermarti sul particolare dimenticando il paesaggio.
Di scordare chi sei permettendo a chi vuoi essere di uscire dalla pelle e coprirti come un manto da tutte le intemperie.
Perché so che non mi trovi.
Non sai più in quale parte di bosco cercarmi, non ricordi più il sentiero sul quale siedono i sogni e le panchine di legno.
Hai perso dagli occhi gli spruzzi della fontana, che sembrano danzare nel tentativo di sfiorare il cielo ma ad un millimetro da lui, ricadono nell’attesa della prossima occasione.
Tu cammina.
Spostando le mani dal caos, per posarle sul grembo che già fu dimora di un miracolo.
E quando ad un certo punto, si fermerà il vento e tutti i grilli smetteranno di frinire, quando le foglie fermeranno la loro caduta a metà ed il sole attenderà la fine del nostro bacio, in quel momento sentirai che per piangere non c’è bisogno di soffrire, perché mentre scenderanno le lacrime, vedrai le nuvole aprirsi e sarai di nuovo te stessa.

In quel momento, voltandoti mi troverai.
E capirai che in realtà dal tuo fianco, non mi son mai spostato.

(Sonnessa Gianluca)

Se fosse vita?

In questo mio vagare tra il tramonto e l’alba ebbi la fortuna, non posso negarlo, di sciogliere i miei sensi in una danza sfrenata con la felicità, salvo poi doverli richiamare all’ordine mentre con la tristezza facevo l’amore su un letto di rovi.

Così sospesi lo spirito in un limbo che a quanto ho capito chiamate Vita.
Strano termine Vita.
Breve, conciso, effimero, fugace.
Solitamente pronunciato di fretta e talvolta, se ho ben compreso cosa concerne riconoscendole il giusto valore.
Mi sembrò strano pensare che in fondo si trattava solo di due vocali e due consonanti, per giunta alternate,
due sillabe strette in un inesauribile abbraccio, come se in un codice di quattro lettere avesse potuto trovar dimora indisturbato,imperturbabile e ridotto ai minimi termini,
il coacervo di salite e discese emotive che questa fase della vostra esistenza vi porgeva con distacco e disinvoltura.

Cosi, seduto sui marmorei gradini della coscienza sedata, percepivo il vostro affanno mentre, come calce viva, si posava sul mantello dei miei liberi pensieri.
Riposavo sul fiato corto che vi accompagnava dopo la frenetica corsa all’oro per il quale vi programmarono.
Rabbrividivo, investito dall’algido alito di autocommiserazione che espiravate.
Ma confusamente certo dell’errore perpetrato, giuravo a me stesso che mai e poi mai, avrei provato a prendere in mano la Vita,sicuro com’ero di poterle porgere la mia di mano, per farmi accompagnare a spasso sul mondo per il breve tempo concessomi.
Fino a quando nacqui un giorno,
anch’io come voi.
E dovetti affannarmi, correre, autocommiserarmi,ridere,
piangere e tacere gridando.
Ma io vi giuro, sulla maschera che indosso,che il marmoreo gradino sul quale siedo, mentre coi fili del giorno tessete la notte,
è lo stesso sul quale sedevo prima di esistere.
Ed è lo stesso sul quale siederò una volta conclusa questa parentesi, che mi avete spiegato chiamarsi Vita.

(Sonnessa Gianluca)

24 luglio 1656 ore 12:36

Seduto sulla scogliera dei ricordi che ancora non avevo, lo ammiravo mentre nell’aria umida del non tempo volava libertà.

Potevo spostare l’orizzonte con un cenno,in quell’inafferrabile manciata di secoli e tenere il mondo sulla punta dell’ indice, perso nel vortice di tutti i giorni, passati, presenti e futuri.
Sentivo la pelle di ogni essere vivente, poggiare il suo calore sulla pelle che un giorno avrei avuto anch’io.
Mi perdevo cercando un rifugio, finendo per dormire tue labbra nell’attesa di un alba svegliata dal nostro primo “Ti amo”.
Potevo tutto.
Eppure non potevo staccare gli occhi dal suo volo.
Non potevo non goderne l’inafferrabilità.
L’indecifrabile semplicità delle sue traiettorie.
Su a carezzar le nuvole, poi giù per baciare le onde.
Si fermava a mezz’ altezza rimanendo qualche secondo sospeso, leggero, per poi scendere in picchiata come se il suo fosse il peso di mille corpi, oppure toccare ancora le nuvole come se pesasse un milione di anime.
Per un secondo durato millenni l’osservai.
Fino a quando non più gli bastò baciare
l’ increspatura soffiata dal vento.
E dopo l’ultima, definitiva chiusa d’ali si tuffò.
Sparendo fra la schiuma e gli spruzzi.

Era il 24 luglio 1656.
12:36.
Fu il momento in cui nacqui,
ed un corpo si fece galera.

(Sonnessa Gianluca)

Acrostico di presentazione

Sono la tua accidia.
Onore sepolto dall’agio in cui vivi.
Notte del tuo spirito d’iniziativa.
Ostentato quanto assente.
Mescola di stati d’animo,
Alterco soffocato,
Lamento debole e inascoltato
Figlio di indicibili ingiustizie
Orchestrate dai Potenti.
Reagisci.
Tacendo nulla sarà rimesso,
E i tuoi occhi non vedranno.
Dunque destati.
È tempo di osservare.
Fa’ della curiosità l’oracolo
Onorato della tua esistenza.
Godi nel conoscere il rovescio,
Lugubre e limaccioso,
Ingabbiato in mediatiche verità imposte.
L’ unica salvezza è l’esser consapevoli.
Uniformarsi al pensiero comune,
Non è l’obbiettivo.
Tu sei il piatto che stanno svuotando.
Otre bucato dei sogni sfumati.
Respira.
E che sia tua la verità.
Sono Malforte, de’ fogli l’untore.

(Sonnessa Gianluca)